
Dalla rassegna stampa del sito Cogip vi segnalo un'intervista sull'internazionalizzazione delle aziende siciliane.
"Grandi opportunità per le aziende che vogliono crescere"
L'esperienza di Mimmo Costanzo, catanese che guarda ai mercati del Mediterraneo
I dubbi sono soltanto di Google. Il poderoso motore di ricerca, tra i milioni di dati elaborati in mezzo secondo, non contempla la possibilità che da Catania qualche imprenditore possa essere andato in Libia a verificare opportunità di investimenti e sviluppo. «Forse cercavi investitori "cinesi" in Libia»? chiede Google. Ma poi, bastano un paio di ormai vecchie ma sempre efficaci telefonate, per stendere al tappeto la ricerca via web. Gli imprenditori catanesi che hanno puntato ai Paesi del Mediterraneo, e tra questi la Libia, per cercare nuove opportunità non mancano. Uno è Mimmo Costanzo, a capo della Tecnis, una società che opera nel settore delle imprese di costruzioni generali e di ingegneria general contracting. Il core business di Tecnis è l'area delle grandi infrastrutture a livello nazionale e internazionale: viabilità, opere marittime, ponti, gallerie, ferrovie ed edilizia specialistica. Il gruppo ha intrapreso un percorso di internazionalizzazione verso nuovi mercati con la costituzione di società nell'Est dell'Europa e, appunto, nell'area del Maghreb.
«Siamo in Libia già da un anno e mezzo – spiega Mimmo Costanzo – dove abbiamo costituito una società e aperto un ufficio. Siamo lì perché lo riteniamo naturalmente un Paese molto interessante, con molte opportunità di lavoro. Occorrono molte infrastrutture; è un Paese parecchio arretrato rispetto a quelli con i quali vuole confrontarsi in quell'area».
E non deve essere nemmeno un Paese "facile", nemmeno in tempi di pace. Come vi siete mossi?
«L'approccio è sempre di natura industriale: organizzare l'ufficio, conoscere i costi delle materie prime, preparare le offerte, confrontarsi col mercato... Ed è quello che abbiamo fatto con il nostro direttore commerciale estero, col responsabile locale. Abbiamo anche già partecipato a una gara per un lotto di quella famosa autostrada che il Governo si è impegnato a finanziare come risarcimento
alla Libia».
Finché un giorno, guardando il telegiornale...
«...abbiamo scoperto che la zona era "calda". Noi tra l'altro avevamo un lavoro in corso già in Tunisia. Insomma, sono stati mesi difficili. Certo, l'assenza di democrazia era piuttosto evidente, ma non avevamo mai notato segnali di una possibile rivolta. Cominciata la rivolta è però subito scattato il rientro. Il Governo italiano è stato bravissimo, tutto è stato organizzato bene. Noi abbiamo fatto rientrare anche i nostri dipendenti, venticinque, che erano in Tunisia oltre ai tre dell'ufficio libico. In Tunisia siamo poi ritornati nel giro di poche settimane».
E la Libia?
«Aspettiamo che la situazione si normalizzi. Intanto la nostra sede è ancora in piedi e gli uffici sono perfettamente agibili, e questa è già una buona notizia. I nostri progetti restano immutati. Le prospettive sono sempre buone. E poi siamo in qualche modo costretti a rimanere perché in Italia il mercato si sta restringendo e le risorse per le infrastrutture si stanno riducendo e se vogliamo mantenere i ritmi di crescita non possiamo non puntare a un'espansione all'estero».
Lei consiglia ai suoi colleghi imprenditori di tenere comunque d'occhio il mercato libico?
«Io consiglio agli imprenditori di tenere d'occhio i mercati del mondo, Africa compresa che, tra l'altro, è piuttosto vicina. E poi, Catania non si candidava ad essere capitale del Mediterraneo? È il momento. La Libia ha bisogno di ricostruire e le risorse non mancano. Ci vanno i grandi gruppi, perché non possiamo andarci noi? Abbiamo tecnologia e conoscenze. La creatività non ci manca. Certo, avessimo alle spalle un minimo di sostegno del governo nazionale o regionale o una politica di sviluppo che favorisca non solo i "colossi" già consolidati ma anche i gruppi che vogliono crescere...».
Giuseppe Farkas
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