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Mimmo Costanzo Tecnis SpA

lunedì 31 ottobre 2011

Ero a Capri: Marcegaglia, intervento condivisibile



Dal sito del Sole-24Ore vi invito a rivedere l'intervento di Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, al meeting dei Giovani industiali a Capri. Io ero personalmente presente e devo dire che - oltre a condividere in pieno i contenuti - è stato anche un discorso emozionante e ricco di spunti di riflessione e di motivazione per un imprenditore che crede ancora nel futuro di questo Paese. Io ci credo ed è per questo che non mollo...

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Marcegaglia: subito le misure per lo sviluppo, prima che ci commissari la Ue

Il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, lancia un appello a «ritrovare la coesione. Agiamo per il bene del paese perchè abbiamo davanti momenti molto difficili». Concludendo il meeting dei giovani imprenditori a Capri e rivolgendosi al ministro del'Interno, Roberto Maroni, seduto in platea ha aggiunto: «Ci auguriamo che il Governo faccia bene e subito il decreto sviluppo».

«Facciamo bene e subito le cose che dobbiamo fare con il decreto sviluppo piuttosto che farcele imporre dall'Europa», ha detto la Marcegaglia sottolineando che «il rischio è che l'Europa ci imponga delle scelte. Noi siamo un grande paese e non possiamo continuamente farci commissariare dall'Europa». «Siamo in un momento delicatissimo - ha aggiunto Marcegaglia - sia dal punto di vista delle decisioni da prendere a livello europeo che a livello italiano. Bisogna salvare l'euro e l'Europa». «Le notizie che ci arrivano dall'asse franco-tedesco ci preoccupano molto. Quindi il primo appello è ai leader europei perché, se non prendono decisioni serie, domani e mercoledì, i danni saranno gravissimi».

Serve una politica per il Sud
La Marcegaglia ha parlato anche del Mezzogiorno, dicendo che la Confindustria continuerà a chiedere «una politica per il Sud. È inaccettabile che perderemo tra i 7 e 9 miliardi di euro di fondi strutturali perché non abbiamo saputo spenderli».

Cazzola, niente di male che ci guidi la Ue
Alla Marcegaglia ha risposto a stretto giro il deputato del pdl Giuliano Cazzola. «Il presidente di Confindustria continua a dimenticare quanto il governo ha fatto per le imprese, ha detto che non possiamo rischiare di essere commissariati dall'europa. Io non ci trovo nulla di male ad essere guidati da Bruxelles e da Francoforte. Quando abbiamo seguito le direttive dell'Unione le cose sono sempre andate bene. Se fossi nel governo assumerei, parola per parola, la lettera della Bce. Le tante considerazioni che si fanno in questi giorni appartengono al lungo elenco delle parole inutili»

Maroni, «d'accordo con la Marcegaglia»
«Fare rapidamente il provvedimento sullo sviluppo». Il Ministro dell'Interno, Roberto Maroni, si dice d'accordo con la Presidente di Confindustria. Conversando con i giornalisti al termine del convegno di Capri, Maroni ha detto di aver «sentito molte proposte, alcune condivisibili da me, altre meno. È sempre interessante e utile sentire la posizione degli imprenditori italiani e di Confindustria quindi é stata una giornata molto interessante». In tal senso il ministro fra i tanti punti da portare avanti ha espresso l'auspicio di «fare rapidamente il provvedimento sullo sviluppo perché il governo ha fatto tanto per tenere saldi i conti e adesso bisogna puntare alla crescita». (S. Nat.)

Cantiere modello sulla Sa-Rc citato da "Panorama"

Dalle sezioni news e rassegna stampa del sito Cogip, vi segnalo un articolo (leggi il pdf dal sito) pubblicato sul settimanale Panorama del 26 ottobre. Parla del nostro gruppo e della positiva performance sull'autostrada dei lavori-lumaca: abbiamo consegnato un cantiere con 5 mesi d'anticipo (quello dello svincolo di Battipaglia). Ma fra poco avrete altre belle notizie sul fronte dell'impegno di Cogip e Tecnis sulla Sa-Rc...

Record sulla Salerno

Mimmo Costanzo, nome siciliano, famiglia siciliana di lunga tradizione imprenditoriale nel settore dei petroli e un’efficienza da fare invidia al Nord. Con la sua Tecnis (parte del gruppo di famiglia Cogip e controllata al 50 per cento con il socio Concetto Bosco). Costanzo ha infatti battuto ogni record di velocità sull’autostrada-lumaca per eccellenza: la Salerno-Reggio Calabria. I cantieri a lui affidati sono stati chiusi con 5 mesi di anticipo. I costumi stanno cambiando? Forse. Solo così si spiegano gli appalti ottenuti da Costanzo anche a San Donà di Piave o a Genova (per l’area del porto) che si aggiungono alle commesse siciliane. L’obiettivo di fatturato nel 2011 è tra i 360 e i 380 milioni di euro. (A. B.)

lunedì 10 ottobre 2011

Imprenditoria e politica: dibattito aperto

Dalla rassegna stampa del sito Cogip, il commento del prof. Rosario Faraci dell'Università di Catania (pubblicato su "La Sicilia" di oggi) al mio intervento "La rivoluzione silenziosa del buon imprenditore" di ieri

Imprenditoria e politica ritrovino compattezza

Ho letto con interesse il contributo dell’imprenditore Mimmo Costanzo su La Sicilia di domenica 9 ottobre e mi sento di condividere con lui il convincimento che compito principale di chi esercita un’attività economica è fare il buon imprenditore e contribuire, attraverso l’impresa, allo sviluppo economico del Paese. Avrei avuto qualche difficoltà, come docente di Economia e gestione delle imprese, ad inaugurare il ciclo di lezioni universitarie che comincia domani, indirizzando ai giovani il messaggio che l’imprenditore deve innanzitutto “fare politica” in un Paese che in questo momento sta vivendo una profonda crisi, di valori prima ancora che economico-finanziaria. Non v’è dubbio comunque, e anche qui concordo con l’industriale catanese, che il “movimentismo” affermatosi negli ultimi tempi evidenzia un diffuso malessere degli imprenditori, piccoli, medi e grandi, di fronte ad un modo di far politica incapace di individuare soluzioni intelligenti per uscire dalla crisi, magari puntando sul trinomio impresa – lavoro – giovani all’interno di un rinnovato paradigma fondato su innovazione e competitività.

Ci sono imprese, come quella guidata dal dott. Costanzo, che hanno dimostrato coraggio ed intraprendenza, mobilitando capacità e risorse per iniziare esse stesse a dare un apporto significativo alla società nella direzione del cambiamento. I “numeri” e i risultati raggiunti confermano la bontà delle scelte finora compiute; siano d’esempio per molti altri colleghi chiamati, oggi più che mai, a valorizzare pienamente i talenti imprenditoriali (coltivati da soli o ricevuti dai genitori) per imprimere una direzione nuova al rilancio del Paese e della Sicilia. E’ questo il tessuto delle medie imprese che, espressione di un capitalismo familiare talora denigrato talaltra esaltato, costituiscono un pilastro importante ed irrinunciabile dell’economia italiana.

Ma, in mezzo alle medie, ci stanno, da un lato le grandi imprese e, dall’altro lato, una miriade di piccole e piccolissime aziende.
Un pensiero immediato è rivolto a queste ultime perché vivono ormai completamente attanagliate dalla crisi, ma silenziosamente operose, dignitosamente attive nei mercati, capaci ancora di assicurare seppur minimi livelli occupazionali, assai indebitate e sottocapitalizzate, ignorate dalle pubbliche istituzioni e fortemente condizionate dal sistema bancario. Sono realtà che non sempre riescono a fare lobby, nonostante la forza numerica delle associazioni che le rappresentano, e che, anche se compattamente unite, non riusciranno mai ad avere adeguata rappresentatività nel sistema politico. Con il rispetto che merita il lavoro imprenditoriale, mi risulta difficile dire oggi ad un piccolo artigiano, commerciante o agricoltore in crisi di fare il buon imprenditore (e sono la stragrande maggioranza in Sicilia), quando questi ritiene di aver già fatto il massimo nelle quotidiane difficoltà del mestiere e di fronte ad una generale indifferenza della società rispetto al lavoro che svolge. A tali livelli, pertanto, la “politica associativa” va sostenuta e rafforzata, favorendo anche nuove forme di coordinamento fra le diverse sigle, come recentemente sperimentato da Rete Imprese Italia che aggrega le cinque maggiori associazioni dell’imprenditoria diffusa nel nostro Paese.
Dall’altro lato, ci sono le grandi imprese, cui va rivolta altrettanta attenzione, perché una loro eventuale crisi ha ricadute tragiche sull’occupazione e sull’indotto, di scala sicuramente più ampia rispetto alle difficoltà in cui può trovarsi un piccolo imprenditore, titolare di una bottega artigiana, ove lavora al massimo insieme a qualche altro collaboratore. Dalla crisi in cui versano le grandi imprese, si esce fuori non con un’unica, ma con soluzioni diverse. La Fiat ha scelto la strada di andare da sola, rideterminando complessivamente i propri livelli di competitività su base internazionale. Altre imprese, anche col concorso di Confindustria, stanno sperimentando di ristabilire, su basi nuove e più intelligenti, il dialogo con le organizzazioni sindacali e le rappresentanze dei lavoratori, al fine di pervenire a soluzioni di sviluppo più condivise. Altre ancora hanno puntato su una maggiore integrazione con il mondo bancario e su una maggiore apertura ai nuovi strumenti resi disponibili dai moderni sistemi finanziari, come il private equity e il venture capital. Altre imprese hanno scelto con maggiore convinzione la strada dell’internazionalizzazione, sperimentando alleanze e partnership con altre società straniere.
Concordo con il dott. Costanzo che la tentazione di scendere direttamente in campo in politica è forte, soprattutto dove sono presenti carismatici leader di riferimento; ma essa non è la panacea di tutti i mali. Una rondine non fa primavera. All’estremo opposto, la commistione politica-impresa è pericolosissima, sfocia rapidamente nell’illegalità, perché le scorciatoie intraprese da pochi non servono affatto alla società. C’è una terza via: fare gioco di squadra e saper rappresentare bene gli interessi di una categoria, gli imprenditori, nell’interesse di tutto il Paese e non soltanto di chi fa impresa. E tra grandi e piccoli imprenditori, con in mezzo i medi, è necessario fare ancor di più e, attraverso il dialogo costante, costruire un gioco di squadra collettivo per riaffermare, con forza, la straordinaria capacità imprenditoriale del nostro Paese, forse un po’ troppo dimenticata nell’affermarsi del dirompente linguaggio della politica. Una politica che, nel prossimo futuro, magari non sarà composta da imprenditori, ma che potrà mai prescindere in nessun caso dalla rilevanza che la cultura d’impresa può avere in diversi campi della società.
Se così sarà, mi risulterà più facile e diventerà più credibile riaffermare ai giovani che un’impresa, buona cittadina del mondo, quali che siano la dimensione e la proprietà pubblica o privata, assolverà sempre a tre importanti funzioni: di produzione e distribuzione di ricchezza; soddisfacimento dei bisogni della collettività; generazione di indotto, creazione di posti di lavoro e di professionalità.

Rosario Faraci
Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese
Università degli Studi di Catania

La rivoluzione silenziosa degli imprenditori

Dalla rassegna stampa del sito Cogip una mia riflessione su imprenditoria e politica pubblicata su "La Sicilia" di domenica 9 ottobre
La rivoluzione silenziosa del buon imprenditore
MIMMO COSTANZO
In questi ultimi tempi il dibattito politico s'è spesso incrociato con il ruolo degli imprenditori: interventi e prese di posizione, più o meno clamorose; scontri aperti fra associazioni di categoria e rappresentanti istituzionali; rumors sulla discesa in campo di uomini di punta del management italiano nell'agone politico. Sembra quasi che chi fa impresa voglia sostituirsi a chi fa politica, magari creando il "partito dei padroni" che qualche quotidiano ha pure evocato.
Io, da imprenditore siciliano ma anche da cittadino che ha a cuore il futuro della propria terra, ho osservato con attenzione il dibattito degli ultimi giorni. E ho cercato di trovare una risposta - soprattutto dentro me stesso, con la mia coscienza - a una domanda che in molti si saranno posti: ma è davvero giunto il momento che gli imprenditori s'impegnino in prima persona in politica?

Il presupposto da cui parte questo "interventismo" è più che corretto, ma bisogna fare un ragionamento serio sui modi e soprattutto sugli strumenti, sul "come" chi fa impresa può incidere sulla strada delle riforme e del cambiamento.
Mi spiego meglio. Il dato di partenza è incontrovertibile: il "Sistema Italia" - e, all'interno di esso, il "Sistema Sicilia" in particolare - sta attraversando un periodo di crisi che ha pochi precedenti nella storia recente. E di questo stato di fatto i politici (ma anche tutti gli altri attori, dalle forze produttive a quelle sociali) devono assumersi fino in fondo le proprie responsabilità.
Ma cosa deve fare un imprenditore davanti a questo quadro? Alzare la voce e farsi sentire, innanzitutto attraverso i canali istituzionali, che vanno amplificati con forza. È più che legittima la protesta corale dell'Ance contro il blocco delle opere pubbliche: un Paese che non progetta e realizza infrastrutture è un Paese senza futuro. E mi sento inoltre di appoggiare con convinzione la battaglia di Confindustria sulle riforme di cui ha bisogno il nostro Paese, riassunte nei cinque punti del "Progetto delle imprese per l'Italia": riforma fiscale, infrastrutture, privatizzazioni, liberalizzazioni, pensioni.
Ecco, questa è la prima cosa che un imprenditore deve fare per cambiare in nostro Paese, senza il bisogno di fondare un nuovo partito, né di schierarsi in prima persona in uno dei tanti presenti nel sistema politico: puntare su una rappresentanza degli interessi che sia trasparente e propositiva, rafforzata da un'azione di coordinamento fra i vari settori.
Per questa ragione, ad esempio, è una grave perdita per il Paese la frattura fra la grande industria e l'organo rappresentativo degli interessi delle imprese. I gruppi multinazionali hanno tutto il diritto di difendere la propria competitività, definendo le proprie regole in mercati senza barriere, ma è quindi necessario che la rappresentanza tradizionale ridefinisca, nell'interesse di tutto il sistema imprenditoriale, gli equilibri e le regole nel rapporto con le forze sociali. E tutto ciò deve avvenire evitando il conflitto e mantenendo il necessario coordinamento.
Certo, se ci fosse qualcuno fra gli imprenditori con le qualità e il necessario spirito di servizio nell'interesse del Paese - e soltanto del Paese - sarebbe apprezzabile. Ma non è detto che chi è un bravo imprenditore debba essere per forza un buon politico. Questo automatismo è stato sconfessato dalla recente storia italiana: il modello Berlusconi, pur non negando al premier indiscutibili qualità imprenditoriali, non mi sembra abbia funzionato per l'Italia.
L'altra cosa che un imprenditore deve fare in questo momento - e che io nella mia realtà aziendale sto cercando di mettere in pratica - è svolgere al meglio il proprio lavoro. Modernizzare la propria azienda, aumentarne la competitività, aprirsi ai nuovi mercati, puntare sui giovani e sul merito, remare con più forza controcorrente nei contesti - e la Sicilia è uno di questi - in cui fare impresa comporta un surplus di responsabilità. Un impegno quotidiano di tipo sociale, ambientale ed etico, ma soprattutto, nella condotta personale e aziendale; un chiaro codice di comportamento che veda al primo punto la legalità, a partire dalla stipula dei protocolli nella gestione degli appalti, soprattutto in un momento storico in cui la crisi che indebolisce le "difese immunitarie" del mondo dell'impresa di fronte agli attacchi della criminalità. E in questo contesto Confindustria Sicilia rappresenta un punto di riferimento importante, che ci dà coraggio e non ci fa sentire soli nei momenti più difficili.
C'è davvero tanto da fare, per uscire da questo tunnel. Ma la necessità di un cambiamento della classe politica non giustifica alcuna confusione di ruoli, né tanto meno autorizza invasioni di campo. Ed è per questo che io continuerò a fare l'imprenditore - "soltanto" l'imprenditore - con ancora più coraggio, passione e spirito di sacrificio. Anche così si può dire "basta" alla brutta politica, anche così si può innescare una rivoluzione silenziosa.